Limiti del subappalto nella normativa nazionale sugli appalti pubblici

Il tema dei subappalti nei contratti pubblici è da anni ormai oggetto di vivo dibattito fra gli organi europei e italiani. La Commissione Europea ha più volte contestato con fermezza al Legislatore interno che i limiti nazionali interni al subappalto sanciti nell’ambito dei contratti pubblici si ponessero in contrasto con la normativa e i principi euro-unitari.

Già nel 2018, con la lettera di infrazione n.2273, erano state addebitate all’Italia le seguenti violazioni:

I) Divieto di subappaltare più del 30% di un contratto pubblico;
II) Obbligo di indicare la terna di subappaltatori proposti;
III) Divieto per un subappaltatore di fare ricorso a sua volta ad un altro subappaltatore;
IV) Divieto per l’offerente in una determinata gara di essere subappaltatore di un altro offerente nella stessa gara;

Prendendo le mosse dal punto I) ( annunciando sin da ora che è quello oggetto di maggior discussione e contrasto nel multilivello ordinamentale), la Commissione già allora riteneva che siffatto limite si poneva in netta antitesi con le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, atteso che in esse “non vi sono disposizioni che consentano un siffatto limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) gli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto […] pertanto occorre concludere che la normativa italiana viola il diritto UE in quanto essa limita il ricorso al subappalto in tutti i casi, e non solo nei casi in cui una restrizione del subappalto sia oggettivamente giustificata dalla natura delle prestazioni dedotte in contratto”. Con riferimento al punto II) la Commissione ha ritenuto che “sebbene l’articolo 71, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE preveda che le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere agli operatori di indicare nelle loro offerte “i subappaltatori proposti”, una disposizione quale l’articolo 105, comma 6, del decreto legislativo 50/2016, che obbliga gli offerenti ad indicare sempre tre subappaltatori, anche qualora all’offerente ne occorrano meno di tre, viola il principio UE di proporzionalità di cui all’articolo 18, paragrafo
1, della direttiva 2014/24/UE. Inoltre la disposizione di cui all’articolo 105, comma 6, del decreto legislativo 50/2016 è resa ancor più sproporzionata dal fatto che, in base al testo di detta disposizione e come confermato dai fatti della causa C-395/1834, l’articolo 105, comma 6, del decreto legislativo 50/2016 viene interpretato e applicato dalle Autorità italiane nel senso che gli operatori sono obbligati ad indicare nelle loro offerte una terna di subappaltatori anche quando, in realtà, essi non intendono fare ricorso a nessun subappaltatore”.

In relazione al divieto per un subappaltatore di fare a sua volta ricorso ad un subappaltatore (punto III) ), la Commissione l’ha ritenuto in contrasto con la previsione dell’art. 71, par. 5, quinto comma della direttiva 2014/24/UE (nello stesso senso l’art. 88, par. 5, quinto comma della direttiva 2014/25/UE e art 42, par.3, quarto comma della direttiva 2014/23/UE), la quale prende espressamente in considerazione ( e dunque ammette) la figura dei subappaltatori dei subappaltatori. Ne discende che in forza delle prefate disposizioni normative, oltreché dei principi di parità di trattamento e proporzionalità, “risulta che gli Stati membri non possono imporre ai subappaltatori un divieto generale e universale di fare a loro volta ricorso ad altri subappaltatori”.

Infine, per ciò che interessa mettere in evidenza in materia di subappalti, la commissione sul punto IV) si è espressa nel senso di qualificare tale divieto incompatibile con il principio di proporzionalità, “in quanto non lasciano agli operatori economici alcuna possibilità di dimostrare che il fatto di aver partecipato alla stessa procedura di gara […] non ha influito sul loro comportamento nell’ambito di tale procedura di gara né incide sulla loro capacità di rispettare gli obblighi contrattuali”.

In Legislatore italiano con il decreto-legge n.32/2019 “sblocca cantieri”, convertito in legge di conversione n.55/2019 1 , ha apportato alcune modifiche – seppur a carattere transitorio 2 (valide fino al 31.12.2020) alla disciplina del subappalto. In particolare:

1) Il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40% dell’importo complessivo del contratto di lavori, forniture o servizi;

2) La sospensione dell’applicazione del comma 6 dell’art.105 (obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori in gara) del terzo periodo del comma 2 dell’articolo 174 (indicazione della terna dei subappaltatori in caso di concessioni), nonché le verifiche in sede di gara, di cui all’articolo 80
del medesimo codice, riferite al subappaltatore (dato che il medesimo non è più indicato prima della fase esecutiva).

Le predette modifiche, tuttavia, si sono palesate insufficienti e inadatte a sanare le incompatibilità con la normativa comunitaria. Sarebbe stato auspicabile un intervento di più ampio spettro che consentisse alla normativa italiana di adeguarsi al diritto euro-unitario, sulla scorta delle indicazioni della Commissione Europea.

Ciò trova puntale riscontro nella lettera della Commissione n.4160967 del 7.08.2020. La posizione dell’organo di Governo europeo è sempre la stessa. Il passaggio dal 30% al 40% stabilito con lo sblocca- cantieri della quota consentita di subappalto, come era facile presumersi, non si è dimostrato idoneo a sanare il contrasto con il diritto unionale. Ed invero il problema non è di tipo quantitativo; il problema è l’apposizione stessa di un limite generalmente imposto al subappalto. Le limitazioni al ricorso a subappaltatori a solo una quota dell’appalto, prestabilita in termini astratti come percentuale di tale appalto


– a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità dei subappaltatori potenziali e senza prendere in considerazione l’eventuale carattere essenziale dei compiti in questione – sono state ripetutamente considerate non conformi sia dalla Commissione che dalla Corte di Giustizia Europea. Da ultimo la Commissione con la comunicazione del 7 agosto 2020 testé richiamata ha nuovamente confermato che l’applicazione di una limitazione quantitativa generale del subappalto risulta essere in violazione della direttiva 2014/24/UE.

In essa è stato richiamato l’orientamento della Corte di Lussemburgo che ha ripetutamente criticato i limiti del subappalto imposti dagli Stati membri e ha chiarito che le restrizioni del subappalto per l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto sono ammissibili unicamente “quando l’amministrazione aggiudicatrice non è stata in grado di controllare le capacità tecniche e finanziarie dei subappaltatori in occasione della valutazione delle offerte e della selezione del miglior offerente”. Ancora, il 26 settembre 2019 4 , la Corte di Giustizia si era espressa in relazione alla specifica disposizione nazionale che limitava al 30% la quota di appalto che l’offerente ha diritto di subappaltare a terzi. Ebbene, secondo i giudici di Lussemburgo la previsione di tale limite stabilito in termini generali e assoluti, si pone in contrasto con la direttiva 2014/24/UE, ed in particolare con i principi ivi sanciti. Come evidenziato dalla Commissione nella recente Comunicazione all’Italia “nella causa C-63/18 le autorità italiane hanno tentato di giustificare il limite del ricorso al subappalto alla luce delle particolari circostanze presenti in tale Stato, dove il subappalto ha costituito in passato uno dei meccanismi ritenuti strumentali allo svolgimento di azioni criminose. Sebbene la Corte di Giustizia abbia riconosciuto che tale considerazione può giustificare limitazioni al subappalto in circostanze specifiche, una limitazione quantitativa generale del subappalto è stata giudicata non proporzionata. La Corte di Giustizia ha concluso che le norme nazionali in questione violano le disposizioni della direttiva 2014/24/UE, oltre a determinati principi fondamentali sanciti dal trattato”.
Inoltre va messo in evidenza che di recente, con la sentenza n.4832/2020 del 29.07.2020, anche il Consiglio di Stato si è pronunciato sul tema dei subappalti nell’ambito dei contratti pubblici, allineandosi (a differenza del Legislatore interno) alle disposizioni euro-unitarie così come interpretate dalla Corte di Giustizia (e dalla Commissione). In particolare la VI sez. ha statuito che “ la sentenza 27 novembre 2019 ha affermato che la direttiva n. 2004/18/CE, in materia di appalti pubblici, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale – quale l’art. 118 del codice del 2006 5 – che limita al trenta per cento la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e al venti per cento la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione. Di conseguenza, non risulta applicabile, in quanto contraria al diritto europeo, la disciplina di cui all’art. 118 cit., posto a base di entrambe le prime censure accolte dal Tar sotto i predetti profili”. In conclusione, appare necessario adeguare e armonizzare la disciplina interna rispetto a quanto sancito nelle sedi europee. Il principio di diritto è chiaro: non può essere imposto un limite generale e assoluto al subappalto; semmai le singole stazioni appaltanti potrebbero (se del caso) prevedere un limite ad hoc, pensato per la singola procedura di appalto e giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere.

A cura del Dipartimento di diritto amministrativo – Avv. Massimo Petrucci, Dott. Francesco Leone

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